Consapevolezza e nessun limite a mente e cuore, ecco la magia di Massimo Bottura

05 gennaio 2018 | di GUIDO BARENDSON | Repubblica.it > SAPORI

Se fosse un fumetto, in un battibaleno salterebbe con i magici stivaletti a molla di Paperinik. È talmente carico di energia che si avvicina al tavolo quasi zompettando. Ma in cuor suo forse preferirebbe essere rappresentato come un artigiano di genio alla corte di Francesco I Duca d’Este, gran mecenate e protettore di Arti e Mestieri. Forse è a lui che pensa Massimo Bottura il Modenese, quando annuncia la svolta della sua cucina: “Tieniti forte, è venuto il momento: il trionfo del Barocco!”. Non male per essere l’Agenda 2018. A tratti ricorda un bambino felice: capisci che nella testa gli stan frullando mille idee e sorride quando ne acchiappa una, quasi fosse lo spago che trattiene un palloncino volatile carico di elio. Accompagna con le mani aperte la spiegazione di ogni pietanza, ti scruta in fondo agli occhi per vedere se ti piace, e se hai colto l’essenza del suo racconto. È un approccio incredibilmente elevato e umile quello che accompagna il Campione. Un carattere che successo e riconoscimenti no limits non hanno rovinato. Anzi, l’aver consolidato le posizioni, dominus in casa e all’estero, e poter contare sulla poderosa macchina da corsa pilotata da un asso di cuori come Beppe Palmieri, gli consente una concentrazione portentosa sul lavoro, nel quale sviluppa senza posa il felice binomio gastronomia-cultura, che sembrano alimentarsi a vicenda. Il quarto d’ora di celebrità tanto caro al suo amico Andy Warhol ha ceduto il passo alla fama, e nemmeno questa lo ha corrotto, “rara avis” sul palcoscenico di chef, cuochi e cuochetti spesso abbagliati da una comunicazione trash e dallo star system, illusi da amici e p.r. che 300 like su Facebook siano un indicatore affidabile per pretendere un paio di stelle Michelin. La consapevolezza dei propri mezzi non solo non toglie nulla a questo giovanotto dalla barba sale e pepe, ma al contrario gli regala una profondità e uno spunto rari. Come se avesse decantato fino ai fuochi di cucina lo studio dell’arte moderna e contemporanea, e ne distillasse mille particolari nelle pietanze, tenendosi lontano dalla ribalta televisiva e dalle sue tentazioni. Dalla banana di Lou Reed e dei Velvet Underground alla vista del Palazzo Ducale la cui costruzione fu supervisionata da Gian Lorenzo Bernini. Mentre la chioma e le fronde del suo bosco immaginifico oscillano nel cielo dei pittori rubando spunti a Magritte – “ceci n’est pas une sardine”, ride presentando un appetizer di pelle d’anguilla – e citazioni planetarie, il segno che sceglie per accompagnare questi giorni di festa non potrebbe essere più meridionale: un piccolo albero di Natale rosso, fatto di pomodori del piennolo, quei pomodori raccolti sul Vesuvio che scaldano l’anima attraverso l’inverno. Consapevolezza e nessun limite a mente e cuore, ecco la magia di Massimo Bottura Beppe Palmieri Condividi Anche Beppe Palmieri, che è nato a Matera, è abituato a combattere il freddo e, pur essendo un signor appassionato di grandi Champagne, mantiene una linea impeccabile nuotando metodico in piscina. Quando gli faccio notare che lui e Bottura si muovono come due pischelli, è sereno: “È come il curioso caso di Benjamin Button”, cita il film: “In un giorno d’estate del 1860, per un inspiegabile scherzo del destino, il protagonista nasce già vecchio: dentro la culla si agita un uomo dell’apparente età di settant’anni. Solo che poi comincia a ringiovanire, muovendosi controcorrente rispetto alla storia…”. Un ritorno al passato che si trasforma nella nobilitazione – finalmente – del Barocco, con buona pace dei poveri critici condannati dalla propria ignoranza a liquidare come barocca una proposta che non gli piace o che non comprendono. Per chi è cresciuto a Noto, a Roma o a Modena, una bestemmia, che nel caso dell’Osteria Francescana viene sepolta dai razzi d’artificio sparati in sequenza sul piccolo tavolo di legno nella cantina dove aspetta di essere stappato il meglio del Mondo. Nessun confine nel bicchiere, che consente al sornione Beppe di proporre con nonchalance un Blanc de Blancs di Pierre Legras, un suo cocktail di birra Beltaine e chinotto e – altra sua invenzione – anisetta Rosati con chicchi e crema di caffè on the rocks, il Passo Nero 2015 di Arianna Occhipinti e un sorprendente Pinot Nero di Podversic. E un mondo ancor più largo è quello che si avverte nella costruzione dei piatti, il frutto delle esperienze raccolte in Europa, tra Francia e Spagna, e nelle Americhe, gli Stati Uniti (da dove viene l’amatissima moglie Lara Gilmore) e il Sud, e ancora l’Oriente, la Thailandia e l’India dell’amico Gaggan… Una ricchezza assoluta, che si mescola senza soluzione di continuità agli umori della madre patria, l’Emilia. Consapevolezza e nessun limite a mente e cuore, ecco la magia di Massimo Bottura Burnt: bruciato, evoluzione dell’omaggio a Monk tra Glen Ligon e la Riviera Romagnola Condividi Non c’è pane a tavola, ma solo grissini. Del resto si devono mangiare con le mani le tante foglie dell’Insalata di mare, ognuna dal gusto diverso, forte, un viatico scrocchiarello cui segue Burnt: un primordiale brodo nero della riviera – inteso a ricordare i Cretti bruciati a Gibellina da Alberto Burri – calamari, seppie romagnole, e un tocco piccante di jalapeño messicano. Apre il cuore e la mente. La combustione cede il passo, e il Mediterraneo si fa subito morbido e avvolgente prima con un assoluto di sogliola, poi con una New England Clam Chowder, che di americano porta solo il nome, ché sotto un tappo croccante di pollo si nasconde una delicatissima zuppa di piccoli frutti di mare, adriatici of course. Consapevolezza e nessun limite a mente e cuore, ecco la magia di Massimo Bottura I tortellini della Francescana Condividi Per quanto sollecitato da mille giochi e suggestioni, non trovo traccia di salse e condimenti invadenti, piuttosto un senso di leggerezza che accompagna anche le portate maggiori: il civet con selvaggina, lumache erbe e ravioli; e il Riso Arancia, giocato tra la Peking Duck e l’Anatra all’arancia, ovvero tra Cina e Francia, ma col risotto di qua. Quando torna ad affacciarsi, leggo a Bottura ciò che ha appena detto di lui – a Licia Granello di Repubblica – un cuoco che mi piace, Matteo Baronetto, del torinese “Del Cambio”. “Bottura è l’unico che ha saputo essere mediatico parlando sempre di cibo, artigiani, territorio. Le banche si uniscono, le compagnie aeree anche. I migliori di noi sono comunque cani sciolti”. Una manifestazione di stima che inorgoglisce il nostro padrone di casa, molto impegnato anche in iniziative benefiche importanti quali sono i Refettori, dei quali parla con grande modestia e prudenza, limitandosi a constatare che in Italia sta raccogliendo il consenso e le adesioni di molti chef decisi a schierarsi in imprese di carattere sociale. Consapevolezza e nessun limite a mente e cuore, ecco la magia di Massimo Bottura Tortino di cioccolato, interiora di beccaccia, germano e pernice Condividi È una conversazione tra amici, nel corso della quale celebriamo il trionfo assoluto della selvaggina col Piccione Camouflage – un assemblaggio colorato alla maniera di Alighiero Boetti, con una Tarte Tatin e un geniale tortino di cioccolato ripieno di interiora. Siamo sotto le feste, e la tradizione va rispettata: tortellini che nuotano nella panna e col tartufo da mangiare rigorosamente a cucchiaiate. Ecco il Barocco che ci entusiasma! Lo stesso entusiasmo che troveremo andando verso la porta: una trentina di studenti giapponesi che ascoltano in religioso silenzio il Maestro. Colgo solo la conclusione, degna di un saggio zen: quale concetto si può ricordare a giovani che crescono inseguendo il mito e la pratica della perfezione assoluta? La parabola del dolce “Oops mi è caduta la crostatina”. “Anche da un errore bisogna sapere imparare, e magari trasformare un fallimento in un motivo di successo”. Vale per gli studenti nipponici che applaudono, e vale per tutti noi. Una riflessione che faccio gustando un dito di whisky: giapponese pure lui.

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